Aggiornamento: 1 nov 2021
Prima di partire per il Giappone per quella che doveva essere un’esperienza di un anno ma che poi si è tramutata in un qualcosa di molto più grande e sconvolgente (in senso positivo del termine s’intende), mi sono documentata in lungo e in largo per cercare di capire cosa avrei dovuto mettere in valigia.
Una delle cose che avevo letto e che mi era rimasta particolarmente impressa , è che in Giappone è difficilissimo trovare i deodoranti per il corpo.
Un po’ scettica, ho deciso, per sicurezza di portarmi un paio di deodoranti stick in più dall’Italia…scelta che si rivelerò estremamente saggia!
Quando misi piede per la prima volta in un supermercato giapponese, non ci potevo credere: di deodoranti per l’ambiente ce n’erano scaffali interi, ma per quelli per le ascelle…zero.
Ci credete che gli unici deodoranti che ho visto in Giappone sono quelli venduti via web?
Il grande problema che sapevo che prima o poi avrei dovuto affrontare, era l’esaurimento delle mie scorte dall’Italia. C’è stato un periodo addirittura che me li facevo spedire dai miei familiari da quanto ero disperata. Disperazione incomprensibile per mio marito che, come praticamente ogni giapponese, non ha idea di cosa significhi emanare odori sgradevoli nonostante le camice pezzate e la fronte grondante di sudore.
Sono sempre stata un po’ invidiosa di questa loro caratteristica, lo ammetto.
In 5 anni di matrimonio non ho mai visto Naoki acquistare e usare un deodorante e vi assicuro che non ho mai sentito nessun cattivo odore, anzi!
Un giorno però, il momento arrivò.
Un giorno che ricordo come se fosse ieri, perché passai tutta la giornata a documentarmi e cercare delle buone ricette testate per un deodorante fai da te.
Provate a fare una veloce ricerca riguardo l’argomento: vi usciranno tantissime opzioni ed esperienze.
Ricette che usano metodi a freddo, a caldo, che mischiano diversi oli vegetali, cera d’api, cera di soia, combinazioni di essenze ecc…mi sembrava di stare dentro il manuale del piccolo chimico.
Essendo io una persona estremamente pigra, avevo una priorità: trovare una ricetta semplice e veloce, con meno ingredienti possibili e facili da reperire.
E così, riuscii ad imbattermi in quella che divenne la mia ricetta del cuore. La ricetta per un deodorante fatto in casa super efficace ed economico che uso da anni e che non mi ha mai delusa.
Da quel giorno cominciò un nuovo capitolo della mia vita, in cui cercare di autoprodurmi quanto più possibile divenne un vero e proprio stile di vita. Non solo prodotti per il corpo, ma anche cibo e prodotti per la casa.
Chi l’avrebbe mai detto che la mancanza di un qualcosa che ritenevo essenziale, mi avrebbe aperto a così tanti mondi?
Sono molto felice di poter condividere questo percorso con tutti voi, sperando di incentivarvi a provare ad autoprodurvi qualcosa, qualunque cosa. Oltre alla soddisfazione personale che proverete, vi ringrazierà l’ambiente, la salute e il portafoglio.
ecco quindi la ricetta per il deodorante. Vi assicuro che una volta provata non tornerete più indietro.
INGREDIENTI
2 cucchiai di olio di cocco
4 cucchiai di amido di mais
4 cucchiai di bicarbonato
Olio essenziale a piacere
PREPARAZIONE
In una ciotolina inserite amido e bicarbonato e poi, un cucchiaio alla volta, andate ad aggiungere l’olio di cocco (se è in forma solida vi consiglio di scioglierlo o ammorbidirlo prima di inserirlo) e mischiate. A seconda che preferiate una consistenza più liquida o cremosa, andrete ad aggiustare con amido o olio, fino a quando non sarete soddisfatti.
Per ultimo aggiungere qualche goccia dell’olio essenziale che più preferite.
Trasferite il composto dentro un vasetto di vetro e usatelo sulle ascelle asciutte tutte le volte che ne avrete bisogno.
NOTE
Dato che l’olio di cocco si solidifica alle basse temperature e invece diventa liquido con quelle alte, agite di conseguenza.
Personalmente durante l’estate preferisco tenere il vasetto in un luogo fresco o addirittura freddo come il frigorifero, mentre in inverno raccolgo ciò che mi serve con un cucchiaino e lo sciolgo un po’ fra le dita prima di usarlo.

Chi sceglie questo stile di vita, vive davvero una vita più semplice?
Utilizzo la parola “semplicità” spesso nei miei discorsi: vivere una vita semplice, ricerca della semplicità, uno stile di vita semplice ecc... Se ne parla con gli amici, se ne parla con i parenti e se ne parla anche qui nel blog.
Ma spesso mi soffermo su certi episodi e situazioni avvenute qui nella nostra fattoria: quando, per esempio, ci sono morte delle capre da latte nel giro di pochi giorni così, all'improvviso e senza alcun segnale, ammalandosi gravemente e morendo nel giro di un paio di giorni lasciandoci esterrefatti e con un grande senso di impotenza addosso. Stessi sentimenti provati dopo l'aborto di una delle nostre vacche wagyu quasi a termine di gravidanza.

E poi quando uno dei numerosi tifoni che ha colpito il Kyushuu (in Giappone sono molto frequenti soprattutto tra Settembre e Ottobre), ci ha rotto la grondaia nuova e parte del tetto della stalla. Oppure quando il nostro cavallo si è azzoppato ed è dovuto stare fermo diversi mesi.
Per non parlare delle piccole/grandi decisioni che abbiamo dovuto prendere: quando il raccolto di patate è andato male a causa delle talpe. Oppure quando siamo stati colpiti da mesi ininterrotti di pioggia che ci hanno rovinato la fienagione e abbiamo dovuto scegliere se salvare parte del fieno di prato quasi pronto, oppure salvare quello d’avena. Insomma, quando le cose sembrano andare bene...ecco spuntare fuori sempre un imprevisto.
Quando controllo i social, gli status e le foto dei miei conoscenti e amici che commentano le serie tv del momento, vanno in vacanza in posti che io posso solo ammirare attraverso uno schermo, mangiano una sera sì ed una no al ristorante o che tornano a casa dal lavoro e hanno zero faccende da fare, ammetto di provare un pò di invidia.

Ora, non fraintendermi, non cambierei mai la mia vita per la loro. MAI. Amo quello che stiamo facendo qui e sento di aver finalmente trovato la mia strada, ma non posso fare a meno di chiedermi se non sia fuorviante riferirsi a questo stile di vita come “semplice”. Penso che lo si consideri come semplice, perché facciamo molte cose che ci riportano ad un tempo che scorreva più lentamente, dove non esisteva tecnologia, si faceva giardinaggio, si allevavano animali, si autoproduceva il più possibile e si cucinava anche dagli scarti.
Ma guardiamo in faccia la realtà, gestire una fattoria (soprattutto se si è solo in due, con due bimbi piccoli e senza grossi mezzi agricoli) è un lavoraccio, perché più che le conoscenze,perfettamente acquisibili, per gestire gli animali e fare un orto, ti prende davvero tantissimo tempo ed energie. Le giornate finiscono senza nemmeno accorgersene e ci si ritrova la sera a realizzare di aver fatto solo metà delle cose che andavano fatte (ovviamente ci sono giornate più produttive di altre)
Quando paragono (e lo so che è una cosa che non si dovrebbe fare, ma penso che sia una cosa intrinseca nell’essere umano) il mio stile di vita con qualcuno che vive in città e non ha animali, non deve pensare al raccolto, può acquistare tutto il cibo che vuole (e quando vuole!) al supermercato...beh, detesto ammetterlo ma sembra che, sotto certi aspetti, sembra che stia vivendo una vita più “semplice” della mia.
Ma nonostante tutte le fatiche e complicazioni, vale assolutamente la pena vivere in campagna. Una vita piena, gratificante, istruttiva, soddisfacente...semplice? mmh, forse non così tanto 😉
E voi cosa ne pensate?
Viviamo in una piccola fattoria. Un piccolo pezzo di terra tra le montagne giapponesi che dista a circa 25 minuti di macchina dal paese più vicino. Dopo anni di lavoro, finalmente ora siamo in grado di produrre il 100% della carne che consumiamo nel corso dell’anno. Tra tutti gli animali da carne che potevamo iniziare ad allevare in questo nostro percorso verso l'autosufficienza alimentare, gli avicoli, per cominciare, erano la scelta più ovvia: semplici da gestire, economici e a duplice attitudine.
Abbiamo iniziato a macellare i nostri polli esattamente 4 anni fa: siamo partiti un po' in sordina, acquistando inizialmente 6 incroci Australorp. Nel giro di pochi mesi abbiamo aumentato il numero dei nostri esemplari acquistando 15 galline di razza Boris Brown, 13 Easter egger (incroci Araucana), 15 Lohmann White e 15 ibridi a duplice attitudine. Tenendo alcuni esemplari per la produzione di uova, siamo arrivati al punto da riuscire ad avere in tavola un pollo a settimana (circa due pasti totali). Ma i numeri dei nostri animali stanno aumentando sempre di più, ed oltre ad aumentare il numero di galline, abbiamo iniziato ad allevare anche quaglie e maiali.
LA RAZZA:
Vi consiglio di scegliere una razza o da carne oppure a duplice attitudine. Quest'ultime saranno meno pesanti rispetto alle prime, ma vi doneranno uova quasi tutti i giorni.
COME NUTRIRE I POLLI:
Noi non usiamo mangimi già pronti, ma preferiamo formularli da noi non solo per una questione di salute, ma anche perché per noi è un grande risparmio economico. Certo, se decidete di dare mangimi già formulati, dalla vostra avete il fatto che sono stati creati apposta per far crescere più velocemente gli animali. Ma noi preferiamo mantenerci su circa 150g di mangime formulato da noi per animale (50% granoturco spezzato, 10% orzo e la restante parte composta da crusca di soia, scarto di riso ecc...a seconda un po' della disponibilità, e anche scarti della cucina, facendo attenzione ai cibi da evitare di dare alle galline). Per quanto riguarda la parte proteica, le nostre galline sono libere di razzolare all’aperto e ricevono ricche dosi di vermetti e insetti vari che si riproducono e crescono nel nostro compost e che riescono a procacciarsi da sole.
QUANDO MACELLARE:
L’età giusta di macellazione varia da razza a razza, ma in genere si tende a processare tra le 12 e le 16 settimane (a me capita spesso di aspettare anche le 20 settimane in base alla taglia e al temperamento dell'animale)
Crescere gli animali per produrre carne è doloroso e a volte frustrante, ma in qualche modo estremamente soddisfacente. E’ meraviglioso acquisire nuove abilità e far parte del processo di produzione del proprio cibo.
In tutto questo ritengo di fondamentale importanza il rispetto, sempre, dell'animale. Rispetto che gli dobbiamo portare sia da vivo sia quando poi lo si porta sulla nostra tavola. E' un concetto che non bisogna mai dimenticarsi.